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Conversazione di Gianpiero Ballotti su “Il diritto di proprietà del lavoro”

SAN MARCELLO - Mercoledì 27 febbraio 2019 dalle ore 10 – Istituto omnicomprensivo

Mercoledì 27, ore 10 – Istituto omnicomprensivo di San Marcello Pistoiese
“Il diritto di proprietà del lavoro” di Giorgio La Pira, la “Desistenza” di Piero Calamandrei e la Costituzione Italiana
Conversazione di Gianpiero Ballotti

 

Negli anni 1954-1958 abbiamo frequentato la facoltà di giurisprudenza all’Università di Firenze, in via Laura, dove insegnavano Giorgio La Pira e Piero Calamandrei.
Una fortuna avere imparato da loro la storia del diritto romano e le istituzioni di diritto processuale civile. Una fortuna e un piacere grande anche perché, entrambi, non si limitavano all’ insegnamento della loro materia, ma frequentemente spaziavano nel campo del loro vasto sapere. Essi facevano spesso riferimento alla Carta Costituzionale che era stata approvata pochi anni prima e che avevano contribuito a costruire essendo stati eletti membri della Assemblea Costituente: un momento di grande convergenza fra tutte le forze politiche del tempo, un importante incontro culturale e politico che non si è mai più riproposto nella storia della Repubblica, fino al raggiungimento del livello più basso di sempre che stiamo vivendo in Italia, oggi.
La Pira parlava spesso del lavoro: insisteva sulla precedenza della persona rispetto allo Stato in antitesi all’ esasperazione fascista della dottrina dello Stato ed in polemica con la concezione liberale della società borghese. Il personalismo cristiano informava del resto largamente i costituenti democristiani che si ispiravano alla dottrina sociale della Chiesa, la quale si accordava con le posizioni dei partiti della sinistra tese all’ affermazione e alla garanzia dei diritti sociali, che ruotavano intorno alla norma fondamentale sancita poi nel secondo comma dell’ art. 3 della COSTITUZIONE.
La Pira ci disse che avrebbe voluto che fosse introdotto nella Carta il principio del “diritto di proprietà del lavoro”, ma questa sua proposta non venne accolta e l’ art. 1 si limitò alla dichiarazione letterale:
“L’ Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Chi ha conosciuto Piero Calamandrei non può che benedire il proprio destino.
Quest’ uomo alla mano, gentile, umanissimo è stato prima di tutto un maestro che possedeva virtù rare, come la pazienza verso chi non sapeva e l’indulgenza verso chi sbagliava, senza mai irritarsi. Un maestro. Il ricordo più vivo di lui è rimasto quello di una mattina di primavera, allorchè ci parlò della “desistenza”come di una brutta malattia che aveva già iniziato a contagiare molti italiani, non ancora completamente guariti dal “morbus italicus”, il fascismo

E percepimmo tutti con estrema chiarezza il valore e la forza dell’ aspra messa a punto su colpe e comportamenti che costituivano l’ oggetto di quella serpeggiante “desistenza” che già faceva capolino nei “salotti”della gente dabbene: “non, - per fortuna – nel sano giudizio del popolo, che non cerca vendette, ma neanche ammette dimenticanze”. “DESISTENZA”

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Era stato il titolo di un editoriale firmato sul “Ponte” da Piero Calamandrei (n.10 del 1946), che terminava con queste parole.
“Dopo la breve epopea della resistenza eroica, sono ora cominciati, per chi non vuole che il mondo sprofondi nella palude i lunghi decenni penosi e senza gloria della resistenza in prosa. Ognuno di noi può, con la sua oscura resistenza individuale, portare un contributo alla salvezza del mondo: oppure, con la sua sconfortata desistenza, essere complice di una ricaduta che,
questa volta, non potrebbe non essere mortale”. 

La Scheda